“Miserie sull’orlo dell’abisso”: breve e incompleta spiegazione poetico-ontologica

 

Eccomi qui, a scrivere le prime parole di questo nuovo progetto, la creatura di quattro menti che hanno molto da dare. Parlo per gli altri, ma i compagni di questa avventura sono eccezionali, brillanti e divertenti: non vi deluderanno.

Miserie sull’orlo dell’abisso, dunque. Inutile specificare che amo i titoli lunghi, da potersi rigirare sulla lingua fino a distorcerne il significato. Un decasillabo (per una sola sillaba mi sono liberata del verso perfetto) incarna quello che presenterà questa rubrica, rappresenta una piccola parte dei miei molti interessi. Mi rendo conto che la persona che scrivere queste righe scarne e ascolta musica indie di dubbio gusto non sia la stessa che immagina e sente ciò che darà corpo a questa rubrica, e non è nemmeno la stessa che ha passato la mattina incantata da una donna dagli occhi verdi. Eppure, nonostante il continuo ribollire della mia esistenza, questa rubrica sarà monotematica. Sottili, fondamentali variazioni sullo stesso tema: la morte nel suo aspetto più misero e quotidiano.

Facile, da questa dichiarazione, intuire la mia predilezione per la letteratura di inizio ventesimo secolo: nella mia vita spesso mi sono aggrappata a quelle parole, a quelle quotidianità altrui e un po’ sciape che hanno però avuto la forza di mettere in prospettiva la mia vita. Tralasciando poi la letteratura, linfa dei miei anni, ho sempre nutrito un particolare fascino per la vecchiaia e gli anziani, quasi certamente grazie all’importante figura di mio nonno: trovo tra le rughe storie formidabili, esperienze premasticate e dolci saggezze. Terza e ultima specifica, la morte ha un posto nelle mie riflessioni dall’inizio dell’età della ragione e ormai ne accosto la trattazione come fosse una vecchia amica. Da questo intruglio ne uscirà, quindi una serie più o meno lunga di variazioni del tema sulle ultime parole che precedono il “mortal sospiro” di manzoniana memoria o, meglio, dell’estrema fuga del pneuma presocratico. Non aspettatevi però eroi sull’impronta di Napoleone o profezie del calibro delle parole di Patroclo: si tratta di miserie, di umile e gretta vita quotidiana, di ultime piccole crudeltà e riservati gesti d’amore, abbastanza banali per passare inosservati, abbastanza importanti da diventare oggetto di breve narrativa.

Concludo questa zoppicante presentazione augurandovi un lieto soggiorno tra le nostre parole e, se mai annoierò la vostra persona, possiate perdonare questo umile saltimbanco, dalla lente davanti al cuore.